Venti del Sud n. 3 – Gennaio 2021

Venti del Sud n. 3 – Gennaio 2021

Ritorno alle aree interne: il progresso possibile

Diari dal Beneventano – Prima parte

Intervista di Paola Cascinelli* a Francesco Nardone e Beatrice Fucci

Futuridea

È una associazione, nata nel 2008, che si trova all’interno di alcuni padiglioni nella campagna est sannita, a poca distanza dal Raccordo di Benevento e dal centro della città. Gli edifici sono bassi e dallo scarso impatto ambientale, ben mimetizzati tra agriturismi, campi coltivati, villette residenziali e aziende agricole. Gli edifici si trovano inoltre a due passi dal polo museale della tecnica e del lavoro in agricoltura, il MUSA, dove è esposta una collezione di trattori e macchine agricole provenienti da tutto il mondo. Gli uffici di Futuridea si trovano all’interno di una struttura di proprietà della provincia di Benevento. Fino a qualche anno fa erano le stalle del vicino Istituto agrario Mario Vetrone. Una fondamentale fucina di tecnici per un territorio a grande vocazione agricola, mi conferma Francesco, sia ora che in passato. Al tempo del loro smantellamento, Carmine Nardone(1), padre di Francesco, era presidente della Provincia di Benevento e si impegnò per la riqualificazione dell’immobile. I presidenti successivi, invece, hanno mostrato una scarsa sensibilità all’idea di promozione della risorsa e la struttura era in uno stato di abbandono, fino a quando…
(1) Carmine Nardone è stato dirigente PC, poi PDS e DS, ha rivestito diversi incarichi parlamentari e si è sempre occupato di agricoltura e innovazione.

Idee chiave

  • L’agricoltura tradizionale non è più sostenibile, occorre un salto di mentalità: è indispensabile conoscere il mercato e integrarla con il turismo.
  • Integrare l’attività di ricerca con interventi concreti rende più efficace l’azione e più semplice l’accesso a bandi comunitari.
  • Le aree fragili non devono imitare i territori più forti, ma fare leva sulle eccellenze tecnologiche e innovative.
  • La pandemia offre l’occasione di riscoprire le potenzialità delle aree interne.

 

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L’arrivo della pandemia ha interrotto le mie normali attività lavorative e ho deciso di approfittare del telelavoro per trasferirmi in una villetta spersa nei silenzi della campagna beneventana, acquistata da mio padre quando il suo lavoro lo ha portato in zona.
Frequento questi luoghi da più di dieci anni, quindi, seppur prevalentemente durante le “feste comandate”. La quiete, il lavorio sommesso e perenne delle terre, il lento trascorrere delle stagioni e la dura tranquillità dei suoi abitanti erano le uniche cose a me accessibili, una cortina oltre la quale non sono andata. Eppure, sentivo che, aldilà delle leggende sulle streghe e al grande passato sannita e longobardo, ci fosse qualcos’altro da scoprire.
panorama benevento
La possibilità di scrivere questo articolo è stata l’opportunità che cercavo. Quale migliore occasione per entrare nei meandri di questo mondo nascosto se non quella di contattare i “possibilisti” della zona? Gente che, per strade diverse, si è avvicinata a Luca, Nicoletta e all’Istituto Colorni-Hirschman e che, in quanto tali, dovevano avere quella curiosità e disponibilità in più che mi avrebbe aperto le porte del beneventano.
E fu così che in una torrida giornata estiva ho incontrato i miei primi interlocutori. Con una vecchia e poco affidabile decapottabile che i miei genitori hanno qui per le passeggiate estive, ero pronta a macinare chilometri. Per poi scoprire che Futuridea, l’associazione dove dovevo recarmi, faro, come vedremo, dell’innovazione sannita, fosse a solo un quarto d’ora da qui. Non più di tre chilometri in linea d’area. E io non ne sapevo nulla.
Ad accogliermi a Futuridea Francesco Nardone e Beatrice Fucci.
L’incontro è stato fondamentale per avere un’idea sullo stato della politica beneventana e campana. Ma soprattutto per avere un quadro dei binari di sviluppo che la Provincia, nell’osso appenninico, dovrebbe percorrere, basato su agricoltura e innovazione. Sul ruolo che in questa strategia devono avere gli anelli mancanti, quelle organizzazioni che collegano catene di informazioni, risorse e competenze. Su in che modo la pandemia impone dei cambiamenti necessari. I tempi sono maturi (Francesco ne è certo) per una svolta sostanziale. Vediamo come.

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Come nasce Futuridea?
Abbiamo fondato Futuridea nel 2008 insieme ad altri amici, appena Carmine Nardone concluse il suo incarico di Presidente della Provincia di Benevento, al fine di valorizzare le esperienze maturate durante il suo percorso politico e tagliate sull’investimento nel settore tecnologico. La sua idea è sempre stata quella di promuove uno sviluppo autonomo, non imitativo, che riconoscesse il valore dell’agricoltura ma che sapesse dare spazio all’innovazione. Benevento deve valorizzare la sua vocazione agricola, ma facendo un passo in avanti. Per farlo, anziché imitare le aree forti, bisognava puntare sulle eccellenze tecnologiche e innovative. Durante i suoi mandati, ad esempio, si è affiancato all’Università del Sannio, un’università di alto livello e con un ottimo dipartimento di Ingegneria del Software. Carmine Nardone capì di dover approfittare di tale disponibilità e attrarre investimenti nel settore. Grazie all’accompagnamento istituzionale messo a disposizione in quegli anni, importanti aziende, anche multinazionali, hanno trovato l’area attraente. Chi voleva investire trovava una rete di disponibilità locale. Quando nel 2008 decise di lasciare la politica, non si voleva disperdere questo lavoro e abbiamo deciso di fondare Futuridea puntando proprio sui temi cardine della sua attività politica: innovazione, sostenibilità, cooperazione e sviluppo economico per dimostrare che fosse possibile fare attività innovativa anche nel Mezzogiorno. Ovviamente un’innovazione sostenibile, rispettosa dell’ambiente, del lavoro e dei diritti. Un’idea, per l’epoca, un pochino stramba, infatti ci guardavano un po’ storto. “Ma questi che vogliono fare”, dicevano. Non lo capivano veramente. Questo tentativo di unire ricerca, agricoltura e innovazione in modo ampio e trasversale è infatti unico nel Mezzogiorno.

E invece il Polo in cui ci troviamo?
Considerando questi principi ispiratori, e dato che la struttura era ormai in abbandono, nel 2012 siamo riusciti ad avere in affidamento l’intero immobile dalla Provincia. L’idea era quella di sviluppare un polo dell’innovazione sostenibile adiacente all’area museale Musa, per ricordarci ed ispirarci ai valori della terra e al lavoro in agricoltura. E ci siamo riusciti. Oggi il Polo ospita l’Istituto del CNR per lo studio dei sistemi agricoli del Mediterraneo, una società di formazione, un’azienda per la rilevazione satellitare con contatti internazionali e uffici satelliti dell’Università del Sannio. Al momento una sessantina di persone sono impiegate in queste strutture che si sono affermate come realtà consistente nella Provincia. Inoltre, ospitiamo decine di organizzazioni gratuitamente, sia in modo permanente, per chi ha il problema della sede, sia per eventi specifici. Offriamo spazio ad un’associazione di sommelier, Intercultura, e a eventi pubblici di varia natura. L’idea è quella di dare una casa a questi soggetti sperando che si possano incontrare, parlare e sviluppare progetti assieme. A cui, poi, noi possiamo dare assistenza.

Quali sono le difficoltà principali che affrontate nel vostro lavoro?
Inizialmente la dipendenza politica, l’essere identificati con l’ex presidente della Provincia. Abbiamo raggiunto una discreta soglia di autonomia culturale, mentre all’inizio Futuridea veniva additata come organizzazione di parte. Adesso no, adesso siamo in relazione con tutti.
Un passo fondamentale nello sviluppo del progetto è stato quello di ottenere la certificazione di istituto di ricerca dal MIUR. In questo modo, infatti, è stato possibile evitare di essere dipendenti dai contributi diretti della politica e quindi dalle diverse parti in gioco.

Possiamo fare un esempio pratico delle attività di cui vi occupate?
Per rendere davvero autonoma l’organizzazione abbiamo dovuto attivare delle progettualità insistendo sui finanziamenti regionali, europei e nazionali, dando un taglio però prevalentemente di ricerca. Abbiamo messo in piedi una rete di ricercatori, professionisti, agronomi, ingegneri e paesaggisti per fare progettazione sui bandi di finanziamento di volta in volta disponibili. I nostri servizi sono rivolti essenzialmente alle Istituzioni (enti locali, università, uffici governativi nazionali ed europei) con ricadute nel settore privato.
Ad esempio, con l’Università Federico II e avvalendoci sulle misure del POR Campania 2007-2013 che finanziavano progetti di innovazione in agricoltura, abbiamo progettato una serra interamente sostenibile, tra le prime in Europa, alimentata con pannelli fotovoltaici e luce a Led, per consentire la crescita delle piante anche di notte. Tutti i parametri della serra possono essere controllati da remoto e le macchine per la raccolta sono interamente elettriche. La serra è tuttora in uso ed è all’interno di in una azienda del posto, proprio per dare il senso della volontà di aiutare aziende locali a crescere. Essendo questo il primo progetto, ti lascio immaginare le mille difficoltà, soprattutto legate alla burocrazia, una cosa terribile. A partire da allora, però, è cominciato un lavoro enorme con altri enti accademici. Al momento siamo convenzionati con tutte le università della Campania, con Tor Vergata e con la Columbia University di New York, che affianchiamo nello sviluppo di nuovi progetti. Un altro esempio è un progetto in cooperazione, sempre con la Federico II, per l’implementazione di foraggi sostenibili e per lo sviluppo della nutraceutica, cioè lo studio dell’alimentazione come straordinaria possibilità di prevenzione delle malattie.
A questa attività di accompagnamento dei progetti di ricerca, si aggiunge quella di divulgazione scientifica per conto degli Enti pubblici. Un esempio sono le pubblicazioni sul paesaggio curate per la Regione Campania, giunte alla terza edizione. Un’opera editoriale di cui curiamo completamente i contenuti e volta alla valorizzazione del paesaggio campano, un bene unico, non clonabile. Riteniamo infatti la valorizzazione del paesaggio una fonte importante di sviluppo territoriale, non solo qui da noi ma in tutto il Sud e più in generale in Italia, un volano dallo straordinario valore artistico e culturale.

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Quale formazione avete?
Francesco ha studiato economia alla Federico II e politica internazionale all’ISPI di Milano. Beatrice pure ha studiato economia, mentre all’interno dell’organizzazione la formazione è molto varia: agrari soprattutto, ma anche giuristi ed economisti e poi ci muoviamo coinvolgendo diverse professionalità sulla base delle esigenze. La rete attorno a Futuridea è molto variegata, in linea con l’idea di lavorare in simbiosi. Noi siamo il nucleo manageriale necessario a guidare la rete, soprattutto in una fase di trasformazione come questa. Vorremmo infatti diventare una Fondazione, al cui partenariato parteciperà anche l’Università del Sannio. Uno dei pochi casi in Italia dove un’università pubblica partecipa ad una fondazione. Ci sono poi altri interlocutori e il sodalizio sarà ampio: un’università privata telematica, l’Istituto del CNR ospitato all’interno del Polo, società di formazione e società di consulenza. La fondazione dovrebbe darci la possibilità di fare quello che è previsto dalla legislazione sul terzo settore: dalla cooperazione internazionale, alla ricerca, alla divulgazione, alla attività culturale.

Abbiamo parlato della Columbia University. Avete molti rapporti con l’estero? Qual è il potenziale dei Sanniti in giro per il mondo?
Un beneventano doc come il prof. Iavarone, insieme alla moglie prof.ssa Lasorella, anche lei meridionale, stanno portando avanti delle importanti ricerche sul tumore al cervello alla Columbia University. Con loro abbiamo organizzato un workshop a Benevento sugli aggiornamenti nel campo della ricerca oncologica. Ha avuto un grande successo e ha dimostrato come siamo capaci di portare avanti progetti non autoreferenziali.
Poi c’è una rete di rapporti con gli emigrati in Canada e in Australia. Un capitolo molto interessante e nel quale si potrebbe fare tanto. Potrebbero diventare un reale anello di congiunzione per la promozione del Sannio e dei suoi prodotti nel mondo. Inoltre, tante delle persone che collaborano con noi fanno esperienze all’estero. Ad esempio Rossana (Maglione, ndr) e un’altra ricercatrice hanno fatto un’esperienza all’estero finanziata da noi e dalla fondazione Iacocca, il Global Village for Future Leaders, ospitato dalla Lehigh University in Pennsylvania. E poi alcuni dei nostri ricercatori vanno a lavorare fuori. Ricercatori agrari e ingegneri, tecnici e agronomi.

Siete degli anelli mancanti? Cioè grazie a voi si mettono in comunicazione professionalità e competenze affinché la rete locale abbia la fluidità necessaria ad innescare processi virtuosi?
Sì, questa è un po’ l’ambizione. Queste realtà hanno il loro valore soprattutto per rimediare al vuoto e all’assenza della politica.

Strano sentire parlare dell’assenza della politica proprio in questo luogo, eredità di un lungo percorso politico precedente.
Carmine Nardone è sempre stato considerato un visionario, uno che ha le idee proiettate avanti, però poco pratiche. L’idea di Futuridea è proprio quella di dimostrare che si può fare. Non veniva capito cosa volesse dire orientare un sistema economico verso la sostenibilità e l’innovazione. “La sostenibilità”, dicevano “che sarà mai? Ma questi che voglio da noi?”. Adesso la cosa è matura. Si sta diffondendo una maggiore consapevolezza.

Quindi la classe dirigente si è convinta?
C’è arrivata perché indotta dall’opinione pubblica. Perché adesso la cittadinanza si informa su dove e come vengono prodotti gli alimenti, se sono fatti con diserbanti chimici, dannosi per la salute, o in biologico. Soprattutto tra chi studia di più e si informa di più, anche qui nel Sannio.

Quindi non c’è una cultura tradizionale con la quale vi scontrate?
In realtà ci scontriamo tutti i giorni. Non è una battaglia vinta. Un primo sostanziale problema è la qualità della classe dirigente, anche a sinistra. Il PD doveva essere un partito organizzato sui temi a noi cari, innovazione e sostenibilità. Avrebbe dovuto proiettare l’Italia verso una fase nuova, moderna. Alla prova dei fatti, invece, è stato tutt’altro, soprattutto sui territori. Sono stato vicesegretario del PD provinciale – è Francesco Nardone che parla – e ho potuto verificare come si continui ad organizzare la filiera sul potere, schiacciando il partito sulle istituzioni. Quando è finito il potere, quando sono finiti gli incarichi istituzionali, è finito il PD. Non solo a Benevento ma anche a Napoli, il PD ha sommato la peggiore tradizione di sinistra con quella democristiana. Al Sud, tranne poche eccezioni, è stata forza di reazione e di autoconservazione del ceto politico. Per questo vogliamo aprirci ad altre cose. Ad esempio, vorremmo provare a fare formazione politica, coinvolgendo, magari, anche il prof. Meldolesi. Ci rendiamo conto, toccandolo con mano e avendo rapporti con quasi tutte le istituzioni regionali, che c’è un deficit di formazione politica anche nelle giovani generazioni. Vorremmo provare a fare formazione per dirigenti politici, aiutandoli ad intercettare il cambiamento che ci sarà nei prossimi anni. È del tutto evidente che la politica come siamo abituati a vederla è morta. È stata distrutta dal populismo e da anni e anni di devastazione del concetto di “politico”, visto come colui che ruba e che si fa i cavoli suoi. Invece questa cosa alla prova dei fatti è un clamoroso danno, perché la politica, che tu voglia o no, si occupa di cose che hanno ripercussioni su tutti. Il tema non è abbattere la politica ma come formarla. Quindi una formazione orientata sulla sostenibilità, che è un must adesso nelle scelte di politica pubblica. Mentre l’opinione pubblica tira in questa direzione, le istituzioni si muovono alla rinfusa e con poca conoscenza delle possibilità disponibili.
L’altro grande problema con il quale ci scontriamo tutti i giorni è far passare un modello cooperativo. Prevale un atteggiamento chiuso, ma anche protetto, assistito. Nell’agricoltura, ad esempio. Il Sannio era terra di tabacco, era la prima provincia italiana, un’agricoltura anche molto ricca, ma assistita. Il contadino faceva le sue belle quote, le conferiva al monopolio, veniva pagato sulla base di quelle quote e stop. Quindi le imprese agricole non hanno maturato una mentalità volta ad investire sui prodotti che servivano al mercato, a seguire il mercato. Adesso con la realtà nuova delle cose bisogna cambiare e si devono adeguare anche le aziende agricole. Alcuni lo stanno facendo, stanno nascendo aziende vitivinicole di eccellenza. Ad esempio, La Guardiense è una cooperativa che mette insieme 1500 soci, qualcosa di molto difficile da coordinare, soprattutto in una realtà poco abituata alla cooperazione. Stanno unendo il marchio e uniformando le strategie di comunicazione e vendita, si muovono sui mercati esteri. In questo modo riescono a vendere il prodotto ad un prezzo maggiore rispetto a quando si muovevano unicamente sul mercato locale. La cooperazione è la chiave. Lo dimostra anche il consorzio della mozzarella di bufala che riunisce i produttori del salernitano e del casertano. È stato finalmente portato a termine il progetto consortile e permetterà a quel gruppo di sedersi al tavolo di colossi come Parmigiano Reggiano e Grana Padano e fare lobby sul governo.

Agricoltura come prima scelta. Come la immaginate, molto innovativa, molto meccanizzata, specializzata?
Un’attività economica multidisciplinare. L’agricoltura classica come si faceva 30 anni fa non è più possibile. L’imprenditore deve conoscere il mercato, deve conoscere le lingue, deve fare integrazione con altre forme di valorizzazione economica, come il turismo e la ricettività. E anche su questo il Sannio può dire la sua. L’Irpinia è un po’ più avanti avendo avuto dei modelli: ad esempio, sia Mastroberardino che Feudi di San Gregorio fanno ospitalità, con ristoranti stellati, addirittura con un campo da golf. Il Sannio è un po’ indietro perché si resta divisi in tante piccole imprese a gestione familiare ed è mancato un modello forte a cui guardare. E la pandemia sta avendo conseguenze abbastanza dure per i piccoli produttori. Per esempio, nella Valle del Taburno, dove si fa l’aglianico e la falanghina, i numeri di produzione sono importanti però la commercializzazione è rivolta unicamente ad hotel e ristorazione. Con il Covid si è fermato tutto, quindi queste aziende sono obbligate a cercare alternative e a guardare al turismo di prossimità. Se vuoi vendere il vino, devi ospitare il cliente in azienda, gli devi far provare l’emozione, gli devi far vedere come lo fai, il vino. I tempi sono maturi.
Anche io mi confronto con le stesse tendenze – è ancora Francesco Nardone che parla – ho un’azienda che fa olio a Benevento, in collina, a 500 metri. Era un’azienda agricola di 9 ettari in abbandono che ho trasformato seguendo un modello interamente sostenibile, con produzione e trasformazione in loco e a freddo e con un mini-frantoio in azienda, in modo da evitare il trasporto. La vendita è diretta in azienda o sui mercati esteri. L’olio del sud è molto buono ma non lo sappiamo vendere. Qui viene venduto a 7 euro al litro, in toscana a 14 euro. La differenza è tutto marketing territoriale. Non lo sappiamo vendere anche se il prodotto è lo stesso. Ma la differenza di prezzo fa la differenza. Perché le aziende hanno capacità di investire e il patrimonio accumulato consente di fare progetti. Le nostre aziende non lo possono fare. Bisogna portarle a quel livello lì. E per farlo gli imprenditori agricoli devono parlarsi, devono fare cooperazione, devono produrre quantità per i mercati importanti. Quindi il contadino che vende l’olio al mercato locale non può sopravvivere. Va fatto un salto in avanti di mentalità.

Ecco, la pandemia. Cosa cambia?
La pandemia sembra essere una opportunità in questo senso, con la riscoperta del ruolo strategico delle aree interne e l’urgenza di attuare pratiche sostenibili.
I luoghi marginali acquisiscono infatti un nuovo ruolo nel rapporto con le grandi concentrazioni urbane, perché capaci di fornire e di curare risorse fondamentali come l’acqua e le fonti di energia rinnovabili, come l’eolico, qui nel beneventano molto diffuso. E, per fortuna, come Futuridea abbiamo anticipato i tempi e appena possibile presenteremo alla Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo a Bruxelles un primo studio preliminare sulle aree interne, propedeutico alla riorganizzazione che dovrà inevitabilmente venire dopo la pandemia. C’è bisogno di trovare riposta alle domande: come organizziamo il territorio? La scuola o i servizi sanitari? Il Covid ha mostrato che lì dove non c’è la medicina territoriale diffusa le cose sono andate male. Come unico baluardo sono rimasti gli ospedali. Ma se hai una patologia come questa e vai in ospedale hai fatto la frittata, come è successo al nord o anche da noi in alcuni posti.
Partendo dall’analisi fredda dei numeri, stiamo cercando di tirare le somme e poi proporre delle soluzioni su come invertire la tendenza. Beatrice è partita analizzando alcuni territori che da qui a dieci anni saranno deserti. Riprendendo il dualismo di Rossi Doria dell’osso e della polpa, abbiamo visto che quel dualismo si è amplificato negli ultimi anni e ci sono paesi che hanno uno spopolamento del 60/65%. Di qui a poco scompariranno. Abbiamo cominciato a studiare e a capire come mai si è arrivati a questi numeri. Stiamo inoltre analizzando la strategia nazionale sulle aree interne pensata al tempo da Fabrizio Barca. Avevano identificato alcune aree pilota, tra cui l’Irpinia, e oggi, alla fine di quel ciclo, l’impatto non è positivo. Innanzitutto perché dalla bozza di strategia alla firma dell’accordo di programmazione sono passati anni. E poi a causa dei criteri di scelta usati per identificare quali aree interne inserire. Non ci si è basati solo su criteri oggettivi, ma hanno pesato logiche clientelari, facendo rientrare paesi che non hanno criticità legate al calo demografico oppure alla distanza dai grandi centri di offerta di servizi. Al contrario, non ci sono paesi che tutte queste criticità ce l’hanno. Hanno pesato anche scelte prese in altri ambiti e non in linea con il desiderio di valorizzare le aree interne. Ad esempio i tagli alla sanità hanno dato il colpo di grazia perché, ovviamente, se non puoi curarti dove vivi, rivedi anche le tue scelte preferendo andare a vivere nelle periferie delle grandi aree urbane, già stracariche e in affanno.

Il Covid ci ha fatto riflettere sulla reale necessità di decongestionare le aree urbane, considerando le tecnologie a disposizione.
Sì, ormai siamo tutti consapevoli e convinti che certe cose vanno riformate. Volenti o nolenti siamo obbligati a farlo e i modelli sono positivi. Il cardine è sempre quello della sostenibilità, così come quello della mobilità. Recentemente, utilizzando un bando del Ministero di Trasporti, abbiamo accompagnato il comune di Benevento nel dotarsi di piste ciclabili e di un sistema di mobilità elettrica in tutta la città. Possiamo ridisegnare quella città. E stranamente ci seguono, pur essendoci, come sindaco, un uomo dalla lunga esperienza politica, Mastella. Li abbiamo accompagnati senza lucro, investendo anche sul futuro. Magari ci sarà un successivo ritorno di lavoro.
L’anno scorso, a novembre, abbiamo anche presentato alla Camera di Commercio il progetto Comunità e Territori Intelligenti, grazie al quale abbiamo identificato i casi di eccellenza che incrociano l’agricoltura con il turismo 4.0. Non potremo mai competere con la Costiera Amalfitana o con la Reggia di Caserta, ma dobbiamo inventarci un turismo di prossimità. E ci sono degli interessanti esempi. Un ragazzo, originario di queste parti, Paoletti, si è inventato il progetto Wonder Grottole in un piccolo paesino in provincia di Matera. Insieme al suo gruppo, Paoletti ha fatto un bando per ospitare a Grottole 8 persone dall’estero dicendo: “Volete venire a fare un’esperienza di vita in un borgo, in un paesino sperduto della Basilicata, nel sud Italia? Vi insegniamo a cucinare, a fare l’orto, la pasta fatta in casa, vi portiamo in giro, vi facciamo vedere le cose belle italiane…”. Si aspettavano una risposta di 30/40 candidati. E invece hanno risposto in 220 mila. Airbnb ha fiutato l’affare e ha finanziato l’iniziativa. Il tema dei borghi, dei luoghi abbandonati, è quindi un tema su cui si deve ragionare. Ci sono delle cose fantastiche lungo la dorsale appenninica e il 60% della biodiversità italiana è concentrata in queste aree. Produzioni di eccellenza, come lo zafferano in Abbruzzo o il vino in Irpinia.

Quindi voi guardate ai finanziamenti regionali, nazionali e comunitari e incrociate queste opportunità con le potenzialità del territorio, con quello che potrebbe essere utile al territorio. E poi costruite il partenariato, trovate gli alleati, le reti, le professionalità. Insomma, vi fate venire idee.
Questo è il nostro mestiere. Banalmente riunirsi e farsi venire delle idee. Che siano utili e sostenibili.

Grazie infinite, Francesco e Beatrice. Posso tornare alla mia collina con molte risposte. E guarderò con occhio nuovo sia a quei campi coltivati a tabacco, sia alla mia scelta di rifugiarmi in campagna. Scelta, forse, non solo individuale ma che anticipa una nuova epoca e un nuovo modo di lavorare.

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Idee da ricordare

L’agricoltura classica come si faceva 30 anni fa non è più possibile. L’imprenditore deve conoscere il mercato, deve conoscere le lingue, deve fare integrazione con altre forme di valorizzazione economica, come il turismo e la ricettività. Se vuoi vendere il vino, devi ospitare il cliente in azienda, gli devi far provare l’emozione, gli devi far vedere come lo fai. I tempi sono maturi per un salto di mentalità anche a livello di cooperazione: gli agricoltori devono unirsi e fare massa critica per produrre quantità per i mercati importanti e per avviare azioni di marketing territoriale.
Per rendere autonoma Futuridea è stata strutturata una forte capacità progettuale, con un forte accento sulla ricerca. Questo ha consentito di poter accedere a finanziamenti regionali, europei e nazionali che hanno fatto da volano a tutte le attività. Futuridea valorizza le opportunità offerte dai finanziamenti incrociandoli con le potenzialità del territorio e con quello che potrebbe essergli utile. Da qui costruisce partenariati e attiva le reti e le professionalità più opportune.
In un piccolo paesino in provincia di Matera, il progetto Wonder Grottole ha attirato l’attenzione e le energie economiche di un gigante come Airbnb, riportando in vita il borgo e attirando 220 mila persone. Il tema dei borghi e dei luoghi abbandonati può diventare una leva fondamentale lungo tutta la dorsale appenninica. Il 60% della biodiversità italiana è concentrata in queste aree.
La pandemia ha favorito la riscoperta del ruolo strategico delle aree interne e l’urgenza di attuare pratiche sostenibili. La maggiore attrattività dei luoghi marginali ha un ruolo fondamentale nel decongestionare le grandi aree urbane e meglio curare risorse fondamentali come l’acqua e le fonti di energia rinnovabili. Questo nuovo orientamento verso le aree interne impone scelte nuove alla classe dirigente sulla riorganizzazione del territorio e su servizi essenziali come scuola e sanità.

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* Paola Cascinelli è direttrice della sede italiana di una università nord-americana e insegna comportamento organizzativo in contesti multiculturali. Più in generale si è occupata per enti pubblici e privati di ricerca, progettazione e gestione della formazione per lo sviluppo personale, sociale ed organizzativo. Ha una passione per il Mediterraneo, il Meridione d’Europa e le loro potenzialità, con uno sguardo attento all’interazione tra i paesi che si affacciano sul mare blu.