Venti del Sud n. 6 – Aprile 2021

Venti del Sud n. 6 – Aprile 2021

L’imprenditore immigrato in Italia tra attivismo sociale e profitto

La storia di una giovane impresa e del suo fondatore per conoscere motivazioni, percorsi, relazioni e impatti attesi di chi ha scelto di sconfinare

Intervista/articolo di Valeria Saggiomo* a Ulrich Gero

Ulrich Gero

Cosa sappiamo realmente degli imprenditori migranti che operano in Italia? Qual è, se esiste, l’aspetto innovativo dell’agire imprenditoriale dei migranti? Queste sono le domande che dovrebbero riguardare la valutazione di impatto sociale dell’impresa immigrata in Italia. Attraverso la storia di Ulrich Gero, originario del Benin e imprenditore emergente nel settore dell’informatica, Valeria Saggiomo propone di affinare l’arte del trespassing e superare i confini di una visione economicista che guarda alle imprese come fenomeno economico prima e sociale poi. Inoltre, suggerisce di spostare lo sguardo sull’imprenditore, per osservare il suo agire economico dall’interno della sua esperienza di vita, lungo le traiettorie che collegano e uniscono il for-profit e il non-profit, i territori di residenza, di origine e di passaggio.

Idee chiave

  • La spinta a fare impresa e l’energia profusa possono trascendere il perseguimento del profitto e scaturire dal desiderio di mantenere il contatto con il Paese d’origine.
  • Le capacità di trespassing appaiono come un tratto forte e non casuale in chi ha scelto di vivere oltrepassando i confini del proprio Paese.
  • È possibile una imprenditoria in cui interesse privato e pubblico si incontrano per diventare azione civile.

 

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L’imprenditoria immigrata in Italia
Dal 2008, il numero di stranieri che in Italia fanno impresa è in continua crescita, anche in controtendenza rispetto alla contrazione del tessuto imprenditoriale italiano, colpito dagli effetti della crisi economica del 2007-2008 (Idos, IOM, CNA, 2019). Da allora, in Italia, il fenomeno dell’imprenditoria immigrata, ovvero le imprese costituite da persone di origine straniera, o con background migratorio, incluse le seconde generazioni, comincia ad essere studiato con maggiore attenzione e raccontato da una letteratura, ancora prevalentemente economica, dedita ad un lavoro di inquadramento e mappatura delle imprese straniere, di catalogazione rispetto ai settori commerciali, alla distribuzione sul territorio italiano, ed ai paesi di origine degli imprenditori (si veda ad esempio Censis Roma Tre, 2019).
L’ultimo Dossier Statistico Immigrazione curato dal Centro Studi Idos (2020) parla di un totale delle imprese condotte da immigrati (nati in Italia e all’estero) di 615.988, che rappresenta il 10,2% del tessuto imprenditoriale nazionale. Queste imprese si concentrano nelle Regioni dell’Italia centro-settentrionale, in particolare in Lombardia e nel Lazio. Al sud, nonostante ci siano meno stranieri e meno imprese rispetto al nord, i dati degli ultimi anni mostrano ritmi di crescita molto elevati soprattutto in Campania (+ 2,9% nel 2019) a testimonianza di una grande vitalità imprenditoriale che il mezzogiorno sta conoscendo grazie all’iniziativa di imprenditori immigrati o con background migratorio.
Guardando alle performance, l’imprenditoria immigrata appare un fenomeno in crescita dal punto di vista del volume, ma fragile rispetto alla qualità delle imprese (Istat, Rapporto Annuale 2019. Pp 198-202). Questa fragilità, secondo l’Istat, è infatti dovuta alla ridotta dimensione economico-organizzativa delle imprese, per lo più a maggioranza “ditte individuali”, e alle performance mediamente poco soddisfacenti, dovute alla vulnerabilità socioeconomica degli imprenditori migranti. Mentre le imprese divengono l’unità di analisi di buona parte della letteratura che indaga l’imprenditoria immigrata, la figura dell’imprenditore, che viene rappresentato come vulnerabile sia sotto il profilo economico che sociale, non riceve sufficiente attenzione, soprattutto dalla ricerca qualitativa [fanno eccezione alcuni testi, si veda ad esempio il bel volume, denso di ricerca sociale sull’imprenditoria immigrata, curato da Maurizio Ambrosino (2009) Intraprendere fra due mondi. Il transnazionalismo economico degli immigrati. Il Mulino.]. Cosa sappiamo realmente degli imprenditori migranti che operano in Italia?
imprenditoria immigrata

Studiare l’imprenditore e poi l’impresa: un approccio metodologico
Gli studi sull’imprenditoria immigrata in Italia sembrano restituire un’immagine di attori dotati di propensione al rischio, spirito di iniziativa e di adattamento alle contingenze, ma anche vulnerabili agli shock, deboli e scarsamente equipaggiati di strumenti di resilienza nei tempi di crisi. Benché diversi studi si siano dedicati a descrivere la presenza straniera nel mercato del lavoro italiano (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2018), gli aspetti peculiari dell’imprenditoria immigrata rispetto a quella autoctona sono ancora un terreno di ricerca quasi inesplorato. In cosa, ad esempio, gli imprenditori immigrati si distinguono da quelli autoctoni? Qual è, se esiste, l’aspetto innovativo dell’agire imprenditoriale dei migranti?
Fare ricerca in questa direzione implica però adottare un focus sull’imprenditore e sulla sua capacità di agire, determinando nuovi scenari economici e sociali nei territori dove opera e, possibilmente, anche oltre i confini locali. Il focus sull’imprenditore piuttosto che sull’azienda porta a valorizzare la agency trasformativa dei migranti, chiede di indagare le loro scelte come imprenditori e come attori sociali, e di ripercorrere il cammino che ha portato l’imprenditore immigrato ad intraprendere, tra spinte motivazionali personali (frustrazioni e attivismo) e opportunità derivanti dai contesti. Solo disegnando i tratti identitari di questi attori economici e sociali allo stesso tempo, attraverso un tipo di ricerca qualitativa che ne riesca a restituire le storie, sarà possibile capire in che modo l’imprenditoria immigrata modifica le nostre società e il nostro tessuto economico, quale impatto, non solo economico, ma anche e soprattutto sociale le imprese generano.

La storia di Ulrich Gero
Gli anni in Benin
Ulrich Gero nasce nel 1989 ad Abomey, antica capitale del regno del Dahomey (1625-1892) da genitori originari del Benin. Il padre era un insegnante di scuola superiore, la madre impegnata a gestire, insieme alla sorella, un’attività di coiffeur. Da piccolo Ulrich è affascinato dalla capacità imprenditoriale delle donne di casa, capaci di creare impresa dal nulla e cresce pensando di avere nel sangue la propensione all’imprenditoria. Con la famiglia si trasferisce presto dal villaggio di Abomey a Cotonou, dove vive fino all’età di 15 anni, frequentando le scuole locali.
benin cotonou
Quando Ulrich è poco più che bambino, la madre decide di dare una svolta alla sua vita e a quella della sua famiglia, seguendo la sorella che si era stabilita in Italia, a Brescia. Sono anni difficili quelli lontani dal Benin per la donna, che si confronta dapprima con l’esigenza di imparare la lingua, poi di trovare lavoro. Un’opportunità porta la sig.ra Gero a Lecco, dove riesce ad integrarsi, a risparmiare e a preparare il terreno per ricongiungersi con la sua famiglia. Così dopo tre anni, nel 2006 Ulrich accompagnato dal padre giunge in Italia attraverso il ricongiungimento familiare.

“Ricordo quando io e mio padre, ancora a Cotonou, parlammo della possibilità di raggiungere la mamma in Italia. Ci piaceva anche l’idea di provare a vedere se la sorte poteva riservarci qualcosa di bello. Così ci dicemmo: vediamo come va! In famiglia mi hanno insegnato che le idee che ti vengono in testa vanno provate.” [I dialoghi riportano la testimonianza di Ulrich Gero, da me intervistato il giorno 11 Ottobre 2020]

L’arrivo in Italia e il processo di integrazione
Inizia in Italia un percorso rapido di integrazione, che costa fatica al giovane Ulrich, impegnato a frequentare nelle ore serali una scuola superiore di metalmeccanica, e ad imparare la lingua italiana al mattino. Ma il processo di integrazione a quell’età è relativamente rapido. In sei mesi Ulrich impara l’italiano e riesce a fare amicizia con i compagni di scuola. Guardando la tv italiana, con l’aiuto della madre, migliora la lingua e riesce a diplomarsi. Dopo gli studi, tutti i suoi ex compagni cominciano a lavorare, e anche Ulrich trova un impiego in un supermercato che gli permette di essere autonomo dai genitori. Ma Ulrich è ambizioso e utilizza questa indipendenza economica per costruirsi un percorso alternativo, basato sulle sue passioni e su ciò che avrebbe sognato di diventare.

“Da bambino ho sempre voluto fare il graphic designer e la sera, dopo il lavoro mi divertivo con il computer a imparare la grafica. Così piano piano sono diventato bravo e nel 2012 ho preso la qualifica di web designer in una scuola professionale a distanza, online.”

Amicizie e passioni
Essendo un’attività di svago quella legata al web, Ulrich ama condividerla con gli amici di un tempo. Attraverso Skype, mantiene settimanalmente i contatti con i coetanei a Cotonou e con gli ex compagni di scuola sperimenta le potenzialità del web. Nel 2009 Ulrich crea un blog dove insieme ad una piccola community di amici discute e pubblica recensioni sui telefoni cellulari. Sono discorsi che i ragazzi fanno ritrovandosi tra loro, commentando l’ultimo gioiello della tecnologia che fa tendenza. Solo che le loro opinioni, attraverso il blog, sono condivise con una comunità più ampia, raggiungendo i compagni lontani, come Alcide che dopo il diploma si è trasferito a Parigi. Il lavoro e gli impegni di studio di Ulrich lo allontanano dal blog, ma l’esperimento è fatto e il giovane ha compreso che attraverso il web può viaggiare oltre i confini della sua città senza muoversi da casa.
sviluppatore siti web
Primi esperimenti di impresa e fallimento
I contatti che Ulrich tiene con l’amico Alcide a Parigi sono densi di idee e di progetti di impresa che i due condividono nel tempo libero. Alcide, anche lui originario del Benin, pensa ad una piattaforma digitale che porti nell’est Europa l’idea di Uber, un servizio di Taxi privati, che ha visto a Parigi, ma che altrove ancora non esiste. Propone di sviluppare la piattaforma e testarla, poi, con Ulrich, magari di portarla in Italia. L’idea diventa realtà e i due amici investono un piccolo capitale per assumere uno sviluppatore di software che li affianchi nei dettagli tecnici. Inizialmente sembra che tutto proceda bene, poi i due soci si accorgono di avere sottovalutato alcuni aspetti del progetto che si complica, assorbe tutto il capitale iniziale e viene chiuso.
Nonostante il fallimento, c’è euforia: i due amici sembrano un vulcano in eruzione, parlano di idee, si confrontano, attraverso Facebook richiedono feedback per valutare la fattibilità delle loro intuizioni, felici e determinati a percorrere le molteplici strade che attraverso il web sono loro aperte, senza confini né barriere. Il web può realizzare i loro sogni, proiettarli in una realtà diversa da quella che vivono quotidianamente, Ulrich nel supermercato di Lecco, Alcide a Parigi. Basta avere una buona idea, investire un piccolo capitale e aspettare che il progetto abbia successo.

“Io dico sempre che lo stipendio di un lavoro alle dipendenze dura trenta giorni, se sei fortunato. Invece un progetto imprenditoriale può durare tutta la vita”

Il ritorno a casa ed un nuovo inizio
Poco dopo, nel 2016, Ulrich torna per la prima volta in Benin in vacanza, a trovare amici e parenti. È la prima volta in quattordici anni ed è emozionato. Questo ritorno in patria esalta la creatività del giovane che ha l’occasione di stringere i legami con il suo territorio, creando relazioni tra gli amici a Cotonou, Parigi, e Lecco. È un’esperienza densa di legami, emozioni e sentimenti positivi verso i luoghi e le persone che costituiscono l’identità mista di Ulrich, è un punto di partenza, un’occasione di rinnovamento nell’approccio e nello stile di fare impresa di Ulrich, come si evince dal racconto che egli fa di quel periodo e di una frustrazione che lo spingerà ad intraprendere poco dopo:

“In Benin c’è una moda tra i giovani di vestire con abiti che chiamiamo “Addis Abeba” o “Dashiki”. Sono camice e pantaloni larghi e comodi, con i motivi etiopi che si applicano sui bordi e anche sugli abiti da donna. I miei amici in Italia mi chiedevano come potevano fare a comprare anche loro i vestiti africani, così mi resi conto che in Italia non era possibile. Ero ancora a Cotonou e mi confrontai con Alcide via skype per capire se in Francia era possibile comprare i vestiti “Addis Abeba” e scoprii che lì ci sono un sacco di posti dove poterli comprare. Tornato in Italia, provai a comprare un pantaloncino sul web che trovai su un sito a venticinque dollari. Era aprile e speravo che arrivasse in tempo per metterlo d’ estate. Aspettai mesi, il pantaloncino non arrivò mai ed io avevo perso i soldi perché la piattaforma sulla quale avevo fatto il mio acquisto non era affidabile. Questa delusione e la rabbia per essere stato imbrogliato mi hanno spinto a creare un sito web che commercializzasse i prodotti africani. Pensai ad una piattaforma che poteva essere al servizio di qualche imprenditore afro-italiano o anche di artigiani a Cotonou che potevano accedere al mercato italiano. Così nacque la Kareeba s.r.l. poco dopo. È incredibile pensare che la molla che mi ha spinto all’azione è stata la rabbia per avere perso i soldi, la frustrazione di essere stato imbrogliato e un piccolo fallimento che però mi ha fatto venire voglia di cambiare le cose.”

abiti addis abeba
L’idea imprenditoriale di Ulrich viene sviluppata ancora una volta con il suo amico e socio Alcide che vive a Parigi. I due cominciano a testare la fattibilità dell’impresa e dai primi riscontri capiscono le potenziali difficoltà da superare: la scarsa propensione degli italiani all’acquisto online, la mancanza di un conto corrente su cui accreditare le vendite da parte dei produttori in Benin. Però – sostiene con enfasi Ulrich – se i mercati francesi e quelli africani sono molto collegati e vicini, questo legame può essere creato anche in Italia attraverso una piattaforma che funga da ponte.
L’impresa Kareeba tra Londra, Lecco e Parigi
I due soci scelgono di registrare formalmente Kareeba s.r.l. in Francia, appoggiandola ad un’altra iniziativa imprenditoriale che gestiscono nel tempo libero. Si tratta di una società che fornisce supporto tecnico alle associazioni o alle imprese che vogliono sviluppare un sito web e che si rivolge soprattutto ad associazioni di migranti in Francia. Per l’aspetto commerciale, i due soci scelgono inoltre di aprire il conto corrente della ditta a Londra e di affidare Kareeba ad una ditta inglese che gestisce i loro conti da Londra. Si tratta di un servizio che semplifica la gestione dell’azienda e minimizza gli errori contabili.

“Il motivo per cui chi gestisce i nostri conti è a Londra è che sia in Italia che in Francia i costi dei servizi alle imprese sono troppo elevati, mentre a Londra è molto più facile ed economico. Quando arrivano le richieste di lavoro, mandiamo il profitto sul conto dell’azienda a Londra. Lì la ditta che cura la nostra contabilità ci manda i conti ogni mese con riassunti molto semplici e facili da capire, con le entrate e le uscite. Poi io e Alcide ci sentiamo via skype e discutiamo sull’andamento, su cosa continuare a puntare e cosa invece lasciare, chiudere.”

Siamo dunque all’inizio del 2017, Kareeba limited è registrata formalmente a Parigi, con il conto corrente e la gestione contabile a Londra, il consiglio di amministrazione tra l’Italia e la Francia e il sogno dei due imprenditori di coinvolgere il Benin.
Le attività procedono lentamente all’inizio, anzi, ci sono delle perdite.

“All’inizio abbiamo perso fino a 5.000 euro poi abbiamo chiesto dei consigli alla ditta che ci aiuta a gestire i conti e siamo riusciti ad azzerare le perdite. Soprattutto i primi progetti ci hanno fatto perdere anche perché non ci lavoravamo moltissimo. L’anno scorso abbiamo perso solo il 5% e andrà sempre meglio. Io e il mio socio sapevamo che avremmo perso dei soldi all’inizio, anche adesso ogni tanto perdiamo ma non siamo scoraggiati, nei primi 5-6 anni si perde, si sa, ma poi si decolla.”

Kareeba e il ponte con il Benin
Il motivo delle iniziali difficoltà che l’impresa ha di realizzare profitto risiede nello scarso impegno dei due imprenditori. Per sua stessa ammissione, dopo avere creato Kareeba Ulrich non vi dedica molto tempo: “avevo un altro progetto per la testa che mi entusiasmava di più e che stavo realizzando con Alcide”. Il sogno di coinvolgere il Benin, di tornare idealmente al paese di origine, viene prima dell’aspetto commerciale di Kareeba. Così i due imprenditori ed amici lavorano alla realizzazione di un progetto filantropico, di educazione imprenditoriale in favore dei giovani del Benin.

“Il progetto funziona così: Noi siamo imprenditori e possiamo fare formazione su come si mette su un’impresa ai giovani del Benin, partendo dall’uso delle tecnologie. Per cominciare però bisogna potenziare le performance dei giovani con un doposcuola in matematica e scienze. In cambio, i ragazzi che aderiscono al programma si devono impegnare a pulire le strade di Cotonou, che sono sempre sporche e questo rappresenta un problema per tutti, anche dal punto di vista della salute pubblica. Abbiamo contattato varie scuole a Cotonou dove iniziare il programma e due di queste hanno accettato. Abbiamo coinvolto un amico che abita a Cotonou per seguire da vicino il progetto con le scuole. Con lui abbiamo fatto il business plan, ci siamo auto-tassati per trovare i finanziamenti per il materiale per pulire le strade e per pagare gli extra degli insegnanti che fanno sostegno. Abbiamo messo insieme circa 3.000 euro, per noi è stato un pochino costoso, ma non volevamo affidarci alle scuole come finanziatori, l’idea di dipendere da loro per realizzare la nostra idea non ci piaceva, le avremmo coinvolte nel finanziamento se il progetto avesse funzionato, si sarebbero da sole convinte che valeva davvero la pena partecipare. Il progetto è durato fino all’arrivo del Covid-19 quando lo abbiamo fermato. Al momento della sua interruzione erano 80 i ragazzi delle scuole e del quartiere che pulivano le strade. È stato un bel successo di cui abbiamo anche parlato con il sindaco del quartiere dove sono le scuole.”

benin scuola
Questo passaggio mette in evidenza un bagaglio motivazionale alla base dell’agire imprenditoriale dei due soci ricco e denso di elementi che vanno ben oltre il desiderio di fare profitto. Il profitto quasi diventa secondario rispetto all’esigenza di sviluppare i rapporti con il paese di origine, e rispetto alla prospettiva di essere utili a questo, di migliorare una situazione che agli occhi dei due giovani è problematica e che loro si sentono in grado di risolvere. Si tratta di quel desiderio di ritorno, non necessariamente solo fisico, o economico, ma anche immateriale, attraverso un impegno per la realizzazione di un progetto che porta in Benin il contributo dei due giovani verso lo sviluppo del loro territorio di origine. Questo desiderio di ritorno è tipico di quei migranti che diventano diaspore. In loro, le motivazioni e le traiettorie dell’agire imprenditoriale si mischiano con motivazioni di tipo sociale, modificando nettamente l’impresa come mezzo di realizzazione di sé. Ecco che l’attivismo economico delle diaspore si sovrappone e si fonde con quello sociale, trasformando le attività di impresa in occasioni per tessere legami tra territori lontani, tra culture e sistemi economici. In questo sta l’elemento innovativo dell’agire economico dei migranti che fanno impresa, come emerge dalla testimonianza di Ulrich Gero e del suo socio Alcide:

“Quando il progetto ha cominciato ad essere realtà e i ragazzi delle scuole di Cotonou erano impegnati a pulire le strade il nostro amico in Benin è andato dagli amministratori locali per parlare dell’iniziativa. Si è presentato dicendo di essere parte di un gruppo di giovani che stanno all’estero ma che hanno a cuore la situazione del Paese, e che vogliono tenere pulite le strade per migliorare la qualità della vita delle persone a Cotonou.”

Un elemento interessante da notare in questo passaggio è la auto-narrazione che i due imprenditori costruiscono di sé stessi e che scelgono di trasmettere nel paese di origine. Si tratta di una narrazione densa di sentimento e di affezione per il Paese e per la sua gente, che veicola obiettivi sociali prima ancora che individuali. Non c’è necessariamente un’associazione formalmente costituita per portare avanti progetti di sviluppo, basta un sito web per far conoscere l’iniziativa, sperando di trovare anche qualche sponsor esterno. Il sito parla di un gruppo di giovani del Benin: Les Engagés et Determinés (https://www.led-asso.org), determinati ad aiutare gli altri per un futuro migliore.
L’impegno sociale: nuova linfa per Kareeba
Il progetto con le scuole si è interrotto a Marzo 2020 quando l’Italia è stata investita dalla pandemia da Covid-19. Le attività economiche si sono fermate ovunque, soprattutto dove abita Ulrich, così come si sono ridotte le possibilità per i due soci di dedicarsi ad attività filantropiche. Ancora una volta, la voglia di trasformare una frustrazione in opportunità porta Ulrich ed il suo socio a riflettere sulle potenzialità di Kareeba e a dedicare all’impresa più tempo e lavoro. I due soci prendono consapevolezza che non basta creare l’impresa per farla camminare da sola e che occorre sviluppare una rete di contatti e di potenziali utenti. Bisogna far conoscere Kareeba, magari nella comunità di migranti diasporici, o delle seconde generazioni che vivono in Italia. Inoltre, si consolida l’intenzione di collegare il progetto sociale delle scuole a Cotonou con quello imprenditoriale di Kareeba, utilizzando la piattaforma per dare la possibilità ai genitori, parenti e gli amici degli ottanta ragazzi delle scuole di commercializzare in Italia i loro prodotti di artigianato. Si tratta di idee in cantiere che il confinamento imposto dalla pandemia in corso aiuta a sviluppare.

“Sono determinato a sviluppare il mercato italiano, anche se so che quello inglese, ad esempio, funziona meglio. Ho una bimba di tredici mesi che mi da il coraggio e la spinta per diventare un bravo imprenditore. Lei deve sapere che il suo papà fa qualcosa per la comunità afro-italiana”

artigianato africano

L’arte del trespassing e il transnazionalismo
Quando ascolto le storie degli imprenditori di origine straniera che vivono in Italia penso al concetto di confine e a come questo si smaterializzi se a fare impresa sono le diaspore africane.
La storia di Ulrich Gero supera molti confini: quelli geografici, che le diaspore trasformano con le loro attività imprenditoriali creando spazi sociali sovranazionali tra Italia, Francia, Regno Unito e Benin; quelli dell’immaginario comune, che in Italia pone ai margini un giovane di origine africana, quando invece egli si fa artefice di un complesso sistema di relazioni intessute su un canovaccio di culture, lingue, sistemi economici e commerciali differenti. Inoltre, questa storia, nel parlare di imprenditoria e di migrazioni, supera i confini disciplinari, che guardano ai fenomeni economici con strumenti econometrici, da sempre poco avvezzi a prendere in considerazione variabili evanescenti come i sentimenti, le passioni oltre che gli interessi, direbbe Albert O. Hirschman.
Proprio Hirschman fece del confine un tratto centrale del suo lavoro ed anche della sua vita giovanile quando, in fuga dal nazismo, egli fu costretto a varcare clandestinamente le frontiere europee per mettersi in salvo e per aiutare tanti a fare altrettanto. Se attraversare i confini, violandoli, fu una pericolosa necessità per Hirschman agli inizi del secolo scorso, questa diventerà una sottile arte nel suo percorso di studioso poco incline a farsi confinare in uno spazio così come in un’area di pensiero. Da qui nasce la pratica hirschmaniana del trespassing, che risponde all’impulso intellettuale di sconfinare oltre il limite disciplinare, di trasgredire rispetto ai discorsi mainstream della dottrina economica della quale egli è figlio per cercare le risposte agli interrogativi che l’economia rinnega per la loro complessità: cosa esiste alla base dell’agire umano? Quali motivazioni muovono l’attivismo nella sfera pubblica? Felicità e delusione per Hirschman non sono solo emozioni o sentimenti transitori, ma categorie interpretative alla luce delle quali leggere e comprendere i fenomeni economici, intessuti di socialità, di psicologia, di complessità. La storia di Ulrich Gero è mossa da motivazioni personali, frustrazioni e attivismo pubblico per il bene di una comunità più ampia. È una storia che ha luogo in molteplici spazi: il Benin, l’Italia, la Francia, ma anche uno spazio transnazionale fatto di relazioni sociali che uniscono i luoghi [nel 1992 Nina Glick Shiller, Linda Bash e Cristina Blanc-Szanton definivano il transnazionalismo come quel processo mediante il quale i migranti costruiscono campi sociali che legano insieme il paese d’origine e quello di insediamento e ne proponevano l’uso come un nuovo quadro teorico da utilizzare per comprendere la complessità delle reti e relazioni costruite dai migranti o transmigranti].
cartina mondo
È proprio in questo terreno nuovo, a cavallo tra le discipline, come ha insegnato Hirschman, e tra diversi contesti e luoghi geografici come propone la teoria del transnazionalismo, che diviene possibile scoprire una prospettiva differente, un aspetto inesplorato, sorprendente dell’imprenditoria immigrata: la sua dimensione sociale. Ulrich Gero crea un’azienda che deve servire ad una comunità più ampia, deve allargare le prospettive di successo agli imprenditori della diaspora in Italia, agli artigiani a Cotonou, agli studenti delle scuole in Benin ed oltre. L’azienda Kareeba è così orientata all’interesse di comunità, sia essa diasporica o africana, da distogliere l’attenzione dal “fatto economico” che dovrebbe invece costituire l’interesse primario.
Per concepire l’imprenditoria immigrata in questa nuova prospettiva, metodologicamente, occorre diventare trespasser, come fu Hirschman, e superare una visione economicista che guarda alle imprese come fenomeno economico prima e sociale poi. L’impresa è talmente imbevuta di socialità che muta la sua natura e diviene emblema di attivismo civico, dove l’interesse privato incontra e si fonde con l’azione pubblica.

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Idee da ricordare

In famiglia, Ulrich Gero ha imparato che “le idee che ti vengono in testa vanno provate”. Con i primi risparmi ha avviato un’attività in proprio e non si è arreso ai primi fallimenti ma li ha utilizzati per capire come fare meglio con le imprese successive.
Il progetto Kareeba è nato dalla voglia di risolvere un proprio problema, unita al desiderio di rinsaldare i legami con la terra di origine.
La naturale propensione allo sconfinamento permette di scegliere senza limiti e preconcetti dove stabilire il consiglio di amministrazione (tra l’Italia e la Francia) e a chi rivolgersi per la gestione contabile (una società di Londra).
Erogare formazione nel paese di origine è consustanziale all’impresa di Ulrich Gero. La forma di engagement verso gli studenti è assolutamente innovativa e frutto di una profonda conoscenza del Paese.
L’impresa può essere talmente imbevuta di socialità da mutare la sua natura e divenire “emblema di attivismo civico, dove l’interesse privato incontra e si fonde con l’azione pubblica.”

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* Valeria Saggiomo insegna Cooperazione Internazionale allo Sviluppo all’Università “L’Orientale” di Napoli, studia il rapporto tra migrazione e sviluppo con un focus sul ruolo delle associazioni e delle imprese promosse da migranti nei processi di sviluppo locale e transnazionale.

Riferimenti bibliografici

Censis, Roma Tre (2019). La Mappa dell’Imprenditoria Immigrata in Italia. Dall’integrazione ecomica alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Progetto Realizzato, con il supporto finanziario dell’INAIL (Bric ID 46). Pp. 1-146.
Glick Schiller Nina, Basch Linda, Blanc-Szanton Cristina (1992). Transnationalism: A New Analytic Framework for Understanding Migration. In Glick Schiller, Basch, Blanc-Szanton, Towards a Transnational Perspective on Migration: Race, Class, Ethnicity, and Nationalism Reconsidered. Annals of the New York Academy of Sciences. Vol 645, pp. 1-24.
Hirschman Albert O. (1983) Felicità privata e felicità pubblica. Il Mulino.
Hirschman Albert O. (1994) Passaggi di Frontiera. I luoghi e le idee di un percorso di vita. Donzelli editore, Roma.
Idos, Confronti (2020). Dossier Statistico Immigrazione. Pp. 1-482.
Idos, IOM, CNA (2019). Rapporto Immigrazione e Imprenditoria. Aggiornamento Statistico. A cura di Maria Paola Nanni. Edizioni Idos. Pp. 1-103.
Istat (2019). Rapporto Annuale. Pp. 1-301.
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2018). Gli stranieri nel mercato del lavoro in Italia. Ottavo Rapporto Annuale. A cura della Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione. Pp. 1-141.