Principi di “buona gestione” del settore pubblico

Principi di “buona gestione” del settore pubblico

di Paolo Di Nola

Il miglioramento dello status quo della PA passa per un riferimento a principi di “buona gestione”. Si tratta di “regole del privato” che hanno cittadinanza anche nel pubblico: le due sfere devono, anzi, imparare reciprocamente. Vengono di seguito elencati una serie di tali principi, come sono vissuti in un’esperienza professionale all’interno di un’organizzazione pubblica che si sforza di orientarsi (non sempre ci riesce e tanto ha ancora da fare) a banali regole di sana amministrazione.
Produttività dei costi: contro l’inefficienza
Un costo deve generare ricavi: principio basilare di qualsiasi organizzazione che implica effetti economici. Il ricavo si traduce in un guadagno strettamente economico o in un rendimento del benessere della collettività. La conoscenza della produttività dei costi è una via di miglioramento gestionale essenziale. Mette in luce i deficit dell’organizzazione e dell’attività che realizza. Non si tratta di una questione di mera contabilità ma di approccio culturale al lavoro. Sapere quanto costa un’ora di lavoro induce tutti a chiedersi del valore realizzato nell’ora di lavoro.
La conoscenza della struttura dei costi emerge proprio attraverso l’analisi del contributo che il costo determina in termini di risultati/ricavi: la scoperta del rapporto tra costi diretti (quelli impiegati per produrre il servizio/prodotto) e costi generali (quelli necessari per mantenere e far funzionare l’organizzazione, a prescindere dalla produzione) facilita i grandi cambiamenti organizzativi.
Organizzazione per la produzione: contro l’esuberanza degli “staff”
La PA è considerata dall’immaginario degli italiani una sorta di grande “unità di staff” del Paese. Cioè una organizzazione che non produce ma che assiste gli altri impegnati nella produzione. Nelle aziende, le unità di staff, soprattutto quando le cose non vanno bene, sono considerate centri energivori che non contribuiscono (se non molto indirettamente) ai guadagni e alla salute dell’azienda. Se poi sono considerate anche sovrabbondanti, allora la reputazione e la difendibilità degli staff crolla. Il loro costo viene considerato improduttivo tout-court e mantenuto dal lavoro delle unità della produzione. E’ un luogo comune ormai affermato che l’improduttività della PAA è mantenuta dal resto del Paese e dai pochissimi che dentro la PA lavorano anche per gli altri. Conoscere il rapporto dei pesi tra “staff” (funzioni indispensabili e non eliminabili ma certamente razionalizzabili) e “line” è un passaggio, anche analitico, necessario per riorganizzare in chiave produttiva l’assetto generale delle organizzazioni: il rapporto tra le due componenti non può che tendere almeno a 20 – 80.
Saturazione delle risorse: contro la sottoutilizzazione
Non si tratta di “sfruttare” ma di accertare che si può fare molto di più. Le pianificazioni del lavoro non sono sufficienti e spesso non sono attendibili. Pur mantenendo il rispetto dei diritti del lavoratore, non è detto che, anche se la pianificazione dimostra un carico di lavoro già massimo, non ci siano tempo ed energia da dedicare ad altro….Come spesso accade, si scoprirà che quella pianificazione è stata fatta con eccessi di cautela e che tutto sommato c’è spazio per fare molto altro ancora. Così facendo, si può facilmente scoprire serbatoi di “energia” non utilizzata tra il 30 e il 40% o più. Poi, è difficile far valorizzare tali “tesoretti” ma almeno si deve tentare e insistere.
Controllo di gestione e valutazione: contro l’ignoranza di sè stessi
I tre dilemmi di cui sopra (Produttività dei costi; Organizzazione per la produzione; Saturazione delle risorse), si affrontano conoscendo gli stati di partenza e gli effetti che essi generano. L’adozione di veri sistemi di controllo di gestione e – soprattutto nel mondo della PA dove l’”intangibilità economica” diventa uno schermo occlusivo che impedisce la vera comprensione degli effetti – di valutazione di risultati, effetti e impatti rappresenta la base strumentale per poter mettere mano concretamente a interventi di ristrutturazione e riorganizzazione. Occorre però privilegiare la ricerca e la definizione di parametri semplici, facili da rilevare e non tanto sofisticati da imporre impegni gravosi a strutture già deboli.
Limitare la esternalizzazioni ai consulenti: contro la perdita di autostima
Le vie per adottare i difficili percorsi della riforma sono varie. Una tra le più comode è l’esternalizzazione del servizio di “diagnosi e cura”. L’ingaggio delle società di consulenza è una pratica sperimentata da tutti i Governi impegnatisi nella riforma della PA. Non è detto che non siano utili. La loro utilità è però direttamente dipendente dalla specificità del problema e quindi dalla specializzazione tecnica richiesta per risolverlo.
Le analisi generali e le soluzioni conseguenti vanno realizzate dalla medesima struttura da riformare. E’ improbabile che non ci siano professionalità interne in grado di svolgere un lavoro di analisi, datigli obiettivi e modalità di svolgimento. Affidarle a terzi esterni che, per ragioni di risparmio operativo, tendono a non immedesimarsi nella struttura, può quasi sempre portare alla realizzazione di prodotti inutilizzabili perché indigesti ed esogeni. La struttura li rifiuta anche se ispirati a validi principi tecnici.
Cambiamento continuo: contro l’occultamento delle energie
Raggiungere un assetto efficiente non significa aver esaurito il compito della riforma. Le organizzazioni vanno rimescolate per mantenerle vive. Questo conferisce ai singoli una sensazione di indipendenza e autonomia nella costruzione della propria carriera. Se viene continuamente affiancato a colleghi nuovi e in organizzazioni nuove, il singolo dovrà frequentemente fare i conti e mostrare le proprie competenze in ambienti nuovi. La stagnazione organizzativa induce torpore operativo e facilita la creazione di tane di sottoutilizzazione delle risorse.
Il cambiamento organizzativo frequente, anche se può provocare fastidi operativi, produce effetti di rivitalizzazione nelle organizzazioni:
– scompone gli equilibrismi interni e la formazione delle “lobby” interne;
– non favorisce le relazioni negative con l’esterno (se uno non sta troppo allo stesso “posto” non può essere un referente degli amici degli amici);
– induce l’affermazione di standard professionali (come per gli equipaggi degli aerei che si compongono di volta in volta in occasione di ciascun volo).
Non c’è bisogno sempre e per forza di ricambiare l’acqua (di fronte a situazioni particolarmente disastrate, ovviamente, non si può non aver il coraggio di farlo) ma di mescolarla certamente.
Alzare gli obiettivi: contro il deficit di ambizione
La condizione di debolezza della PA autoalimenta un fenomeno che trascina verso il basso le performance e la “produzione”: meno si fa, meno si è indotti a fare perché:
– le capacità tecniche si indeboliscono;
– si riduce il bagaglio delle esperienze a cui guardare per crescere;
– ci si limita, nei casi migliori, a darsi compiti alla propria portata e non si azzarda alcuno slancio di ambizione.
L’incapacità a spendere le risorse comunitarie, fenomeno ormai conclamato dai risultati degli ultimi cicli di programmazione, dipende anche da un cronico deficit di ambizione: l’ordinario soppianta interventi di caratura strutturale (che di conseguenza fanno anche spesa) aggravando poi lo stato generale delle cose. Non intervenendo in misura strutturale su alcuni problemi ci si ritrova dopo alcuni anni di fronte a problemi ingigantitisi tanto che ogni soluzione appare irrisoria e insufficiente (si pensi a Pompei, alle bonifiche di alcuni siti inquinati, a situazioni di prevenzione di emergenze, o alla gestione di presidi ospedalieri, etc.). Occorre tutelare il coraggio dell’ambizione nelle iniziative della PPAA e favorirlo anche sul piano normativo.
Rendere riconoscibili le reputazioni dei gruppi: contro la negazione delle distinzioni e l’affondamento dell’orgoglio
Mettere in concorrenza gli uffici e le amministrazioni su risultati concreti con sistemi concreti di riconoscimento dei primati. Riuscire a crearsi un marchio distintivo del gruppo, dell’ufficio, serve molto. Sentirsi parte di un corpo inefficiente non basta a neutralizzare l’obiettivo di diventare più bravi, più efficienti, più performanti. Tuttavia, il timore di essere “omologati al peggio” inibisce il progresso: la convinzione che “questo mio ministero è un disastro” blocca le possibilità di dimostrare che, al contrario, si può essere in grado di fare meglio anche standoci dentro, appartenendovi.
Il riconoscimento (anche se non premiale) delle capacità di un determinato gruppo di persone, di un ufficio, di un dipartimento, etc. può diffondersi con una certa velocità. Si sa che “quelli” sono meglio e su “quelli” si può contare se si intende realizzare un obiettivo, anche fuori dall’ordinario! La reputazione esterna produce effetti concreti se si traduce anche nella nascita di uno spirito di gruppo, di una identità forte e di una autoconsiderazione. La fiducia nelle proprie capacità vince anche lo sconforto generato dagli scenari amministrativi molto difficili. Il premio concreto, ad un certo punto, deve però arrivare….concreti riconoscimenti troppo tardivi o mancati neutralizzano la forza riformatrice dell’entusiasmo e dell’orgoglio che nella PA c’è ancora.
Sapere comprare, contrattare, controllare gli acquisti: contro il tabù del mercato
La capacità dell’Amministrazione di identificare con precisione i propri limiti operativi (quelli di alta specializzazione tecnica non disponibili all’interno) contribuisce a capirne le esigenze di integrazione attraverso un razionale ricorso al mercato. Sul mercato si possono acquisire le competenze di cui l’Amministrazione non è dotata, se veramente necessario. La capacità di Committenza (che riguarda l’intero ciclo di acquisti che va dalla rilevazione del fabbisogno, alla sua traduzione in domanda al mercato, all’esperimento delle giuste procedure di evidenza pubblica, alla selezione del fornitore, alla contrattualizzazione, al controllo di qualità del prodotto ricevuto…etc.) è una delle funzioni amministrative imprescindibili che va potenziata molto. Dal livello di incapacità di committenza dipendono lo spreco (quando la committenza è abusata, sciatta o scorretta) così come dalla capacità di acquisto dipende la efficace composizione delle competenze specialistiche necessarie a qualificare e a completare i compiti della PPAA.
Saper comprare bene significa anche mitigare il “timore” nei confronti del mercato e serve a dare importanza al lavoro interno della PA. Tutto ciò passa per una radicale razionalizzazione delle tradizionali modalità di acquisti al mercato (introduzione di piattaforme e-procurement; Centrali uniche di committenza; Valutazione della qualità dei prodotti ricevuti; Modifiche contrattuali a tutela della PA; etc.).
Remunerazione ancorata ai risultati: contro gli automatismi
Oltre a tutto quanto già detto sulla limitazione degli stipendi nel “pubblico”, la meritocrazia retributiva, riferendosi a quella vera e non a quella che viene costruita su obiettivi molto facili o addirittura già raggiunti al momento della loro determinazione, deve essere enfatizzata: occorre perciò estendere, anche al personale non dirigente, la parte variabile dello stipendio, costituendone i fondi con una quota dei risparmi di spese considerate inutili. A tale premialità possono accedere solo coloro che intendono assumere specifiche responsabilità (coerenti con le mansioni della propria fascia).
Il meccanismo di copertura attiva un percorso di doppio interesse che da un lato spinge alla razionalizzazione della spesa e dall’altro incentiva la produttività legata ad obiettivi semplici, chiari e misurabili e continuamente spostati verso l’alto, secondo il suddetto principio della ambizione costante. Ogni anno, in sede di definizione degli obiettivi della retribuzione variabile, questa ambizione deve crescere verso l’alto. Mai fermarla.