Intervento di Francesco Cicione

Intervento di Francesco Cicione

Un caro saluto affettuoso a tutti.  

Mi spiace davvero moltissimo non poter essere presente di persona e mi scuso se parlerò in italiano, ma questo  mi permette di raccontare in maniera più compiuta la nostra esperienza, di coronare questo incontro con un po’  di italicità in più.  

Proverò a raccontarvi una storia possibilista che riassume – forse – anche le storie che Nicoletta vi ha illustrato  nel suo intervento introduttivo. È una storia che si è alimentata di cultura magno greca e di altre ispirazioni, ma  che soprattutto è stata sostenuta dalla riflessione colorniana, hirshmaniana e – oserei dire – meldolesiana che,  per più di vent’anni, il nostro gruppo ha avuto la fortuna di incontrare e di poter avere a fianco. Senza questo  supporto, difficilmente avremmo oggi raggiunto i risultati che stiamo raggiungendo. 

In cosa consiste la nostra esperienza? Noi da molti anni perseguiamo un sogno: realizzare in Calabria, nel Sud  Italia, nel cuore del Mediterraneo caro a Braudel, a Lepenies, ad altri pensatori, uno spazio totale per l’innovazio ne, un contesto all’interno del quale l’intera filiera dell’innovazione – dalla fase di ricerca e sviluppo passando per  le fasi di bootstrapping, di accelerazione, di incubazione, di implementazione di capacity, di scale-up – potessero  essere seguite in maniera organica così come avviene nei più avanzati benchmark a livello mondiale, nella costa  orientale e occidentale dell’America ma anche nelle zone emergenti dell’Indocina. Volevamo realizzare, in Cala bria, qualcosa di inedito, per abilitare, nella nostra terra, una azione “controintuitiva” alla quale Colorni e Hirsch man ci hanno abituato e preparato negli anni. 

Questo è uno sforzo davvero possibilista e nel farlo abbiamo voluto arricchirlo di ulteriori elementi possibilisti.  Ne cito tre su tutti:  

> voler coniugare pensiero ed azione: non limitarci, quindi, a perseguire l’innovazione come semplice obiettivo  di scoperta tecnologica, ma concepire l’innovazione come l’infrastruttura abilitante, come l’infrastruttura di  un pensiero di futuro, di una nuova ontologia di futuro, oserei dire e, nel contempo, uno strumento per la  costruzione di quel futuro. Quindi pensiero e azione che si alimentano reciprocamente e vicendevolmente in  maniera costante e quotidiana;  

> fare tutto questo senza alcun ricorso alla finanza pubblica. Nel Sud Italia questo è quasi uno “scandalo”  perché il Sud Italia è il luogo nel quale anche i grandi player vengono ad insediare i propri branch per poter  godere dei benefici fiscali e delle risorse finanziarie che vengono erogati anche dagli organismi europei. Noi, invece, abbiamo voluto realizzare tutto questo solo con finanza privata per dimostrare l’assunto meldolesiano che è possibile fare di più con meno e soprattutto per testimoniare che il vero valore del Sud Italia è nel  suo capitale umano, nelle competenze, nella propria posizione geopolitica e non nella finanza pubblica che  spesso, invece, è un elemento di forte distorsione del mercato; 

> volere svolgere un “effetto magnete” rispetto a competenze e network internazionali. Il Sud Italia, come tutte  le aree con difficoltà di sviluppo, spesso subisce un’emorragia delle proprie competenze che vanno a cercare  fortuna altrove. Noi volevamo, invece, che il nostro hub fosse in grado di attrarre competenze di ritorno sfruttando quell’onda calda, sotterranea, che Luca Meldolesi ci ha insegnato a scrutare fin dalla fine del secolo  scorso, e che aveva solo bisogno di punti di fuga per emergere. Ma soprattutto volevamo attrarre in Calabria, nel Sud Italia, anche competenze e network non calabresi, non meridionali interessati a scoprire il valore  strategico della Calabria. 

Possiamo riassumere così i numeri: abbiamo circa 600 tra grandi player, start-up, centri di ricerca, del Sud Italia,  nazionali ed internazionali che collaborano con il nostro hub e circa 300 le persone che lavorano nell’ecosistema.  

Per realizzare questo obiettivo abbiamo dovuto sforzarci di coltivare quell’attenzione al trespassing, alla dissonanza cognitiva che ci è stata insegnata, ma soprattutto siamo riusciti ad arrivare fin qua facendo tesoro di tre  insegnamenti hirschmaniani:  

> coltivare sempre il metodo dell’affetto e della passione: non saremmo arrivati fin qua se il gruppo di lavoro,  che si è speso generosamente, non fosse stato animato da grande passione. Per dirla in maniera magnogreca,  avevamo il logos e l’ethos ma avevamo bisogno anche del pathos – della passione, dell’affetto, dell’orienta mento forte al risultato; 

> il superamento dei paradigmi correnti e anche l’alternarsi di esperienze tra pubblico e privato, che nel nostro  territorio è importante. Questa esperienza è frutto di venti anni di cammino, sempre con Luca Meldolesi, ed è  stata sempre a cavallo tra pubblico e privato. Io stesso ho avuto esperienze tra pubblico e privato per riuscire  a bilanciare in maniera equilibrata l’attenzione, la propensione all’impegno civile anche in ambito imprenditoriale nella nostra terra; 

> la creazione di una comunità, quindi la gestione antipiramidale tipica degli insegnamenti hirshmaniani e  delle pratiche di liberation management che hanno consentito a tutte le persone coinvolte di poter arrecare  il proprio contributo. Questo aspetto è il risultato di tanti piccoli contributi che si sono sommati, mossi da  grande amore, in questa cornice d’ispirazione hirschmaniana che ci ha guidati e sostenuti a rompere il tetto  di cristallo, a lavorare per un mondo migliore.