Trasparenza, democrazia, innovazione. Open data nella PA

Trasparenza, democrazia, innovazione. Open data nella PA

di Aline Pennisi*
Quali novità per la PA nel fare open government data? Non dal punto di vista giuridico o tecnologico, ma dal punto di vista del suo ruolo: efficacia ed efficienza, visibiltà e contatti con i cittadini.
Quali sono i maggiori supposti vantaggi nell’open government data?
Quali conseguenze, opportunità e cambiamenti si possono conseguire come risultato dell’open government data, non solo in fatto di valutazione dell’operato della PA, ma anche in relazione alle modifiche dei criteri di valutazione da parte di chi giudica, inclusa l’opinione pubblica? Sono questi i punti fondamentali discussi nel seminario da Aline Pennisi, funzionario presso il Ministero dell’Economia e la Ragioneria Generale dello Stato e attivista del movimento Open Government Data, che di trasparenza nella PA si occupa da anni, dall’interno delle istituzioni pubbliche e dall’esterno.
Cominciamo, allora, dalle novità.
Mentre la diffusione di dati elaborati in forma statistica è una prassi ormai consolidata, la diffusione e l’accessibilità dei dati grezzi (singole spese, documenti, delibere, entrate, tutte informazioni non aggregate e, quindi, immediatamente rintracciabili) da parte di tutti, amministratori e cittadini, aumenta la trasparenza di dove vanno a finire i nostri soldi e aumenta soprattutto il potere di controllo sull’operato delle amministrazioni (anche attraverso il confronto con le altre PA e, verosimilmente, l’emulazione) e, in un certo senso, rafforza la possibilità e la capacità di partecipare alle decisioni sulla spesa pubblica.
Questo tema della partecipazione alle decisioni politiche è, in fondo, quello che da oltre vent’anni si sta cercando di fare con il bilancio dello stato. Qui si è trasferita l’attenzione da “chi gestisce la spesa” a “per che cosa si spende” (il bilancio è suddiviso in missioni e programmi), con un’enfasi maggiore sul consuntivo, per capire se gli obiettivi di spesa sono stati raggiunti e come spendere meglio. Tutti elementi che aiuterebbero la politica a prendere decisioni e, ammesso che a tutto ciò venga data la dovuta visibilità da parte dei media di massa, aiuta i cittadini ad esercitare il controllo sulla politica. E, invece, osserva Alina Pennisi, quando il consuntivo di bilancio arriva in parlamento, in genere viene approvato senza alcuna discussione. Utopia, allora? Non proprio. Perché la tecnologia lavora a favore di questo sviluppo e perché esistono, numerosi, preparati e agguerriti movimenti e gruppi di cittadini “government open data e open access supporters”.
Una condizione primaria perché quella preparazione e responsabilità che da anni sembra latitante in parlamento ritorni, a furor di popolo, grazie a scelte più accurate e responsabili a partire dai territori. E anche perché, nonostante se ne parli molto poco sui media di massa, non siamo in fondo in Europa gli ultimi in classifica.
Basti infatti pensare a quanto già è stato fatto negli ultimi anni e posto online dal Ministero per lo Sviluppo Economico e, con il programma SIOPE (cfr. Le Radici del Futuro anno I n.4, ottobre/dicembre 2012), dalla Banca d’Italia e La Ragioneria Generale dello Stato. E si pensi alla moledi lavoro fatta in sede nazionale ed europea per creare e rendere disponibili strumenti efficaci sul territorio nazionale per organizzare e pubblicare i dati di singole amministrazioni e città (come, per esempio, Trento e Firenze). Un lavoro, questo della messa online delle PA, che va fattoper legge entro il 1gennaio 2014, presumibilmente.
Altri vantaggi sono:
– la possibilità di interazione con un incredibile numero di soggetti esterni (cittadini, imprese, altre PA) su un terreno molto più ampio di possibilità, in maniera molto meno intermediata, con molti meno filtri. Ciò significa maggiore legalità, risparmio di risorse pubbliche e maggiori velocità, accuratezza e garanzie in termini di qualità, competenza e affidabilità;
– la connessione e/o l’integrazione fra il proprio dato e i dati prodotti da altri soggetti pubblici e anche non pubblici, in una sorta di completamento/collaborazione e di rettifica/controllo.
– un confine meno marcato fra informazione ufficiale e non e, quindi, la progressiva scomparsa della distinzione fra l’ufficialità e la verità;
– la possibilità che altri forniscano un servizio che prima era di esclusiva prerogativa
dell’amministrazione (in competizione, in sostituzione o in aggiunta).
I maggiori benefici che si possono avere, afferma Alina Pennisi, sono principalmente di tre
ordini: efficienza, democrazia ed efficacia.
Cominciamo dall’efficienza
Open Data consente di ridurre al minimo il ruolo del governo e/o della pubblica amministrazione nell’informare i cittadini della cosa pubblica e nel fornire servizi di pubblica utilità.
Perché? Ecco alcune risposte:
– altri (intermediari privati, profit e non-profit) lo sanno fare meglio sia perché “sono dalla
parte dell’utente”, sia perché competendo ogni giorno sul mercato, emergeranno i “migliori”;
– altri lo possono fare a minore costo e con maggiore innovazione tecnologica ed estrapolando dai dati maggiori e più numerosi significati (tramite la ricerca, la rappresentazione, l’elaborazione, l’aggiornamento dei dati, ben oltre la loro semplice presentazione).
E, tuttavia, osserva la funzionaria del Ministero dell’Economia, attivista e vicepresidente
di Openpolis, ci sono domande aperte che meritano il dibattito pubblico: a chi rimane la
responsabilità di garantire i servizi per tutti? Siamo davvero disposto a pagare servizi “pubblici” forniti da altri?
Con la trasparenza si rafforza la democrazia.
Open data consente di re-inventare la relazione fra governanti e governati, tra chi fornisce
i servizi pubblici a favore dei cittadini. Infatti, se da una parte i governi e la pubblica
amministrazione offrono una piattaforma imparziale per far interagire tutti gli attori, dall’altra tutti possono meglio monitorare l’effettivo operato sia del governo che della pubblica amministrazione.
Si aprono, qui, ipotesi di discussione e di approfondimento.
Non è chiaro, infatti se bastano i dati a determinare “accountability” (che è quel mix di fiducia e di credibilità che deriva da provata serietà, verità, sobrietà, competenza). Se non c’è una prima interpretazione e/o narrazione dei dati, come sarà possibile sapere quali sono gli obiettivi delle politiche che hanno prodotto quei dati? E, inoltre, se non c’è una informazione ufficiale, chi guiderà il cittadino nella scelta fra le alternative?
Prendiamo ora in esame il “beneficio” dell’efficienza
L’assunto è che Open data consente di migliorare i servizi forniti e di decidere meglio sulle
politiche. Perché? Per diverse ragioni:
– si riduce l’asimmetria informativa: cittadini e imprese possono più facilmente segnalare al centro ciò che avviene sul territorio;
– open data consente di ricostruire la fiducia fra le parti e di meglio condividere gli obiettivi e, quindi, di generare comportamenti in sintonia tra chi idea e progetta le politiche e chi le vive;
– la diffusione, l’estremo dettaglio e la rapidità dell’informazione facilitano il coordinamento
fra i numerosi attori;
– con Open data si possono offrire dati preziosi per informare le scelte dei cittadini e degli
operatori economici;
– si può esercitare una pressione più incisiva verso il risultato (ricerca del risultato, valutazione sulla base del risultato, convergenza degli sforzi verso il conseguimento del risultato).
E tuttavia, ci si chiede, bastano davvero diffusione e conoscenza (voice) e competenza e
correttezza (assenza di moral hazard) per individuare politiche “che funzionano”?
E, poi, c’è tutto il problema della valutazione. Ma questo è un altro capitolo.
*Franco-americana-romana, laureata in scienze statistiche, vice presidente di Openpolis. Ha scritto di matematica dei sistemi elettorali, lavorato a lungo nella cooperazione per lo sviluppo in medio-oriente. Ora si occupa di analisi della spesa e delle politiche di bilancio come dirigente del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Pensa che della cosa pubblica debbano occuparsi tutti, non solo i politici e i burocrati. E che tutti debbano avere gli strumenti per comprenderne i processi e mobilitarsi. Per questo fa parte di Openpolis.